“PAPRIKA”
(2006)
(Satoshi Kon)
Mi è stato consigliato questo film animato da
G. un mio paziente.
Non ne sapevo nulla né del regista, né del fatto
che C. Nolan ne avesse tratto ispirazione per il suo “Inception”. Ringrazio dunque
il mio “preparato” paziente per questa perla affascinate, soprattutto dal punto
di vista psicologico. Di psiche c’è tutto.
C’è una macchina, un aggeggio strano che permette
ai tecnici terapeuti di immergersi nel profondo onirico delle persone per
curare varie ferite psichiche, ad esempio lo stress post- traumatico. Detta
così sembra una cosa pazzesca, una scoperta incredibilmente utile per chi
soffre di malattie psichiche. Questa macchina, la DC Mini è ancora in fase di
sperimentazione e una certa signorina di nome Paprika decide di usarla anche
fuori dal piano terapeutico. Così veniamo a conoscere Konakawa, un detective
provato dal bisogno di risolvere un caso di omicidio. Il ritmo incalzante ci fa
decollare vorticosamente verso un pericolo imminente perché alcuni prototipi
della DC Mini sono stati rubati per scopi piuttosto loschi. Tracollo totale. Il
mondo si trova di fronte al problema che sono tutti immersi in un sogno
collettivo, talmente vivido e intenso da aver compromesso la psiche di tanti. E’
complesso discernere la realtà dal sogno. E lo spettatore si ritrova in un caos
di ardua interpretazione. Io stessa ho dovuto rivedere alcune scene diverse
volte per coglierne le sfumature. Fatto sta che tutti i sogni si sono fusi in
una gigantesca illusione. Si può solo immaginare la portata di una cosa del
genere.
Una piccola nota sulla colonna sonora. “Parade”
meravigliosa.
Ma entriamo nel vivo. I personaggi sono particolari
e ambivalenti.
Paprika, una ragazza, anzi “la” ragazza che
tutti vorrebbero. Bella, coraggiosa, forte, tenace e ribelle. La sua ammaliante
personalità ha intrigato ogni personaggio che ha incontrato. Ma lei è solo
Caronte. Accompagna tutti ma non appartiene a nessuno. Lei è la guida. O meglio
lo era. Sostiene che “i sogni e internet sono simili, sono luoghi in cui si
esprimono desideri repressi”. E a quanto percepisco io può anche essere vero. Ma nei sogni non ci sono solo desideri ma
anche mostri, paure e sensi di colpa. Lei è il filo conduttore.
La Dottoressa Chiba psicoterapeuta bloccata in
una dimensione emotiva fredda e distaccata. Lei è intelligente, decisa ma
immobile nel suo stato “difeso”. Appare priva di emozioni, alessitimica.
Poi c’è il nerd, il genio Tokita. Il nerd è
quasi sempre il mio personaggio preferito. Lui incastrato in un corpo adulto
che attraverso un disturbo alimentare tenta di colmare un vuoto affettivo che
non gli ha permesso di evolvere anche nella sfera emotiva. E’ lui che ha
costruito la DC Mini.
Konakawa, il detective fortemente
traumatizzato, vive sentendosi braccato, ingannato. E’ in conflitto con se
stesso. Cerca di elaborare un trauma con l’aiuto di Paprika.
Il direttore è un aiuto a Chiba un anziano
nanetto simpatico e attivo che attraversa diversi ostacoli ma che cerca di fornire
sostegno alla dottoressa.
Il Presidente che ergendosi a “custode dei
sogni” con la scusa di proteggere le persone dalla scienza (che a suo avviso può
creare danni), sceglie di lasciarsi catturare dal male, mascherandosi di buone
intenzioni “in questo mondo crudele, il sogno è l’unica testimonianza di
umanità che ancora ci resta”.
Osanai è un brillante ricercatore e amico
della dottoressa. Tuttavia emerge subito la natura ambivalente e invidiosa. Nel
tempo si allea con il Presidente.
Nel pieno della pellicola si determina con
chiarezza il ruolo del Presidente.
Intanto ci rendiamo conto che quello che
abbiamo percepito è vero. Paprika è la dottoressa. Mentre è inseguita dai
tentacoli del presidente ormai mostro, il brillante ricercatore ha manifestato
la sua vera identità, galoppino del presidente “Edipo è il look che ti si
addice maggiormente” gli dice Paprika mentre sfugge alla cattura. Il Presidente
ci regala il motivo della sua scelta “nei sogni non esistono confini, sarò
libero anche io” esprime mentre la insegue. Ma niente, Paprika viene catturata
da Osanai. Qui appare il dialogo più interessante del film. Si fondono
conscio e inconscio, bene e male, paura, rabbia, amore. Si qui c’è anche un
amore…un amore contaminato e inquinato dalla sete di potere e di controllo. L’amore
di Osanai per Papkrika. Anzi, si dichiara così “Io ti amo per come sei veramente” mentre la “spoglia” della sua maschera più funzionale. La vede
li, nuda. La dottoressa … senza la sua “protezione” indipendente e coraggiosa. In
quell’istante, il Presidente si impossessa del corpo di Osanai e i suoi tentacoli
avvolgono gli arti dell’uomo e della dottoressa. Lei sta per essere strangolata
mentre in atto c’è un complesso conflitto fra il Presidente e Osanai. “Perché non
vuoi obbedirmi…non sei niente senza di me”. Questo conflitto è così metaforico
e intenso da appartenere a tutti noi.
Aveva ragione Paprika, il complesso di
Edipo è forte e ognuno di noi prima o poi si ritrova a gestire la norma, il
divieto e il limite imposto dal “padre”.
Il Presidente è anche il Super-io…quella censura dominante che
interviene sulle pulsioni più profonde, imponendo la regola. Mi fa tenerezza
Osanai. Siamo noi…in conflitto tra le nostre istanze più pulsionali dirette al
piacere e quelle di controllo su di esse.
Ma ecco che in questo duello, dove ci stava
scappando il morto, anzi la morta, arriva lui…il detective. Konakawa ha appena risolto
il caso. Il suo. Eh sì perché era attanagliato dal senso di colpa legato al suo
vecchio amico. Ricordi talmente dolorosi da essere stati rimossi dalla
coscienza.
Ma ora è maturato, ha fatto il suo “passaggio”
ed è pronto a “vedere”. E’ lui che trae in salvo Chiba. Serviva che lui vivesse
questa pienezza. C’era bisogno che passeggiasse nel suo inconscio esplicitato
in un bar che ricorda l’Owerlook Hotel di King.
Nel frattempo… mentre sembra tutto risolto, il
sogno collettivo prende sempre più corpo e assistiamo alla parata di immagini oniriche
che, passeggiano per la città. Chiba si trova a tu per tu con Paprika e le dice “non
fare il passo più lungo della gamba Paprika… tu sei una parte di me” come per
ammonire il suo alter ego impulsivo, il quale ormai ha piena vita ed è
completamente sganciato dalla dottoressa tanto che, risponde “hai mai pensato
che potresti essere tu una parte di me…tu vuoi sempre controllare te stessa e
gli altri”? Questo dialogo è Fight Club. Questa conversazione è troppo “tyleriana”
per non esaltarmi.
Qui la dottoressa “scopre i sentimenti” che prova per Tokita,
per il nostro nerd. Ma sta sperimentando l’amore in generale. E’ preoccupata e
lo vuole salvare perché lo vede incastrato in un sogno... come tante persone del
resto.
Ecco che la dottoressa algida si è sbloccata. Non ha più bisogno di
Paprika, la affronta verbalmente e se ne allontana. Ora è lei contro il male.
Lei nella sua libera consapevolezza dell’amore. Il Presidente è diventato il
dominatore dei cieli e della terra e mentre infligge distruzione arriva lei. La
dottoressa…E’ rinata. Si presenta con le sembianze di una bambina che mentre “aspira”
il male, cresce. Cresce. Cresce.
E allora sotto le note della stupenda “Parade”,
la dottoressa bambina, più si nutre dei sogni del Presidente e più cresce. “Perché
non obbedisci?” le chiede il dominatore del mondo mentre lei lo assorbe dentro
di sé. Lei intanto cresce. Cresce. Una
volta divorati tutti gli incubi assieme al Presidente stesso, lei torna donna e
il cielo si rasserena. La parata non c’è più, le immagini oniriche sono
sparite. E’ la realtà questa. Una realtà fatta di amore…quello tra la
dottoressa e il nerd.
La mia teoria sul Presidente è che fragile e
debole e vuole appropriarsi dei sogni degli altri per percepire quella “umanità”
con cui non è più contatto da tempo. Si sente incastrato e solo… nella sua “disabilità”
fisica e mentale. Proprio lui, come Platone, pensava che il corpo fosse “la
prigione dell'anima”.
Questo è un film sui conflitti interni. Sulle
maschere. Sul dualismo. Il bene e il male,
il sogno e la realtà. Conscio e inconscio, amore e odio, vita e morte, mente e
corpo.
Eibesfeldt, seguace di K. Lorenz sosteneva che uno
degli scopi del cannibalismo era la “purificazione”. Eh già... anche qui si parla
di rituali. Come per Fight Club, anche in questa sede, R. Girard potrebbe
illuminarci sui riti di passaggio e di crescita. S. Freud per descrivere la
suzione del latte materno nel bimbo, fa riferimento al termine “cannibalismo”. Come
per la dottoressa bambina che più si nutre e più cresce, forte.
La magnifica idea del sogno collettivo mi ricorda l’“inconscio
collettivo” di C.G. Jung. Come un archeologo, lo psicologo cerca di studiare un
“tempo” che, per Jung coinvolge l’umanità tutta. Questo film è denso di simboli
archetipici e analitici. Qui c’è tutto quello che fa felice uno psico.
Jung dice che “Tra i molti problemi della psicologia medica
c’è un bambino difficile: il sogno. Sarebbe tanto interessante quanto arduo
discutere il sogno esclusivamente sotto i suoi aspetti medici, cioè in rapporto
a diagnosi e prognosi di stati morbosi. Il sogno ha a che fare con la salute e
la malattia e poiché grazie alla sua origine inconscia, attinge dal tesoro di
percezioni subliminali, può produrre occasionalmente cose di estremo
interesse.” (Jung, Opere, vol. VIII, L’essenza dei sogni)
Per lui,
il sogno è una autorappresentazione spontanea della situazione attuale
dell’inconscio espressa in forma simbolica (Jung, Opere, vol. VIII, Considerazioni
generali sulla psicologia del sogno)
Come in
questa pellicola. Se ci fermiamo ad osservare i dettagli sugli elementi che
componevano la parata, potremmo rimanere colpiti dalla varietà di simboli. Gli
archetipi qui sono molteplici. Quello che mi appare più evidente è l’“ombra”,
il nostro lato oscuro.
Questo film
parla di evoluzione verso una consapevolezza che, si raggiunge attraverso la “catarsi”.
Tutto è stato fortemente catartico. Tutto si è evoluto fino all’ apice della verità.
Quale verità?
Quella
che riguarda il genere umano. L’essere umano è intriso fino al midollo di paure
e mostri. Siamo in perenne guerra con noi stessi e con le nostre resistenze.
Ma quando guardiamo in faccia a questi mostri, realizziamo che ne vale la pena.
Ne vale la pena… perché ci svincoliamo dalle nostre maschere e superiamo le
nostre dinamiche terrorifiche... cresciamo… e cosa più importante… amiamo.