domenica 26 aprile 2020


“PAPRIKA”
(2006)
(Satoshi Kon)

Mi è stato consigliato questo film animato da G. un mio paziente.
Non ne sapevo nulla né del regista, né del fatto che C. Nolan ne avesse tratto ispirazione per il suo “Inception”. Ringrazio dunque il mio “preparato” paziente per questa perla affascinate, soprattutto dal punto di vista psicologico. Di psiche c’è tutto.
C’è una macchina, un aggeggio strano che permette ai tecnici terapeuti di immergersi nel profondo onirico delle persone per curare varie ferite psichiche, ad esempio lo stress post- traumatico. Detta così sembra una cosa pazzesca, una scoperta incredibilmente utile per chi soffre di malattie psichiche. Questa macchina, la DC Mini è ancora in fase di sperimentazione e una certa signorina di nome Paprika decide di usarla anche fuori dal piano terapeutico. Così veniamo a conoscere Konakawa, un detective provato dal bisogno di risolvere un caso di omicidio. Il ritmo incalzante ci fa decollare vorticosamente verso un pericolo imminente perché alcuni prototipi della DC Mini sono stati rubati per scopi piuttosto loschi. Tracollo totale. Il mondo si trova di fronte al problema che sono tutti immersi in un sogno collettivo, talmente vivido e intenso da aver compromesso la psiche di tanti. E’ complesso discernere la realtà dal sogno. E lo spettatore si ritrova in un caos di ardua interpretazione. Io stessa ho dovuto rivedere alcune scene diverse volte per coglierne le sfumature. Fatto sta che tutti i sogni si sono fusi in una gigantesca illusione. Si può solo immaginare la portata di una cosa del genere.
Una piccola nota sulla colonna sonora. “Parade” meravigliosa.
Ma entriamo nel vivo. I personaggi sono particolari e ambivalenti.
Paprika, una ragazza, anzi “la” ragazza che tutti vorrebbero. Bella, coraggiosa, forte, tenace e ribelle. La sua ammaliante personalità ha intrigato ogni personaggio che ha incontrato. Ma lei è solo Caronte. Accompagna tutti ma non appartiene a nessuno. Lei è la guida. O meglio lo era. Sostiene che “i sogni e internet sono simili, sono luoghi in cui si esprimono desideri repressi”. E a quanto percepisco io può anche essere vero.  Ma nei sogni non ci sono solo desideri ma anche mostri, paure e sensi di colpa. Lei è il filo conduttore.
La Dottoressa Chiba psicoterapeuta bloccata in una dimensione emotiva fredda e distaccata. Lei è intelligente, decisa ma immobile nel suo stato “difeso”. Appare priva di emozioni, alessitimica.
Poi c’è il nerd, il genio Tokita. Il nerd è quasi sempre il mio personaggio preferito. Lui incastrato in un corpo adulto che attraverso un disturbo alimentare tenta di colmare un vuoto affettivo che non gli ha permesso di evolvere anche nella sfera emotiva. E’ lui che ha costruito la DC Mini.
Konakawa, il detective fortemente traumatizzato, vive sentendosi braccato, ingannato. E’ in conflitto con se stesso. Cerca di elaborare un trauma con l’aiuto di Paprika.
Il direttore è un aiuto a Chiba un anziano nanetto simpatico e attivo che attraversa diversi ostacoli ma che cerca di fornire sostegno alla dottoressa.
Il Presidente che ergendosi a “custode dei sogni” con la scusa di proteggere le persone dalla scienza (che a suo avviso può creare danni), sceglie di lasciarsi catturare dal male, mascherandosi di buone intenzioni “in questo mondo crudele, il sogno è l’unica testimonianza di umanità che ancora ci resta”.
Osanai è un brillante ricercatore e amico della dottoressa. Tuttavia emerge subito la natura ambivalente e invidiosa. Nel tempo si allea con il Presidente.
Nel pieno della pellicola si determina con chiarezza il ruolo del Presidente.
Intanto ci rendiamo conto che quello che abbiamo percepito è vero. Paprika è la dottoressa. Mentre è inseguita dai tentacoli del presidente ormai mostro, il brillante ricercatore ha manifestato la sua vera identità, galoppino del presidente “Edipo è il look che ti si addice maggiormente” gli dice Paprika mentre sfugge alla cattura. Il Presidente ci regala il motivo della sua scelta “nei sogni non esistono confini, sarò libero anche io” esprime mentre la insegue. Ma niente, Paprika viene catturata da Osanai. Qui appare il dialogo più interessante del film. Si fondono conscio e inconscio, bene e male, paura, rabbia, amore. Si qui c’è anche un amore…un amore contaminato e inquinato dalla sete di potere e di controllo. L’amore di Osanai per Papkrika. Anzi, si dichiara così “Io ti amo per come sei veramente” mentre la “spoglia” della sua maschera più funzionale. La vede li, nuda. La dottoressa … senza la sua “protezione” indipendente e coraggiosa. In quell’istante, il Presidente si impossessa del corpo di Osanai e i suoi tentacoli avvolgono gli arti dell’uomo e della dottoressa. Lei sta per essere strangolata mentre in atto c’è un complesso conflitto fra il Presidente e Osanai. “Perché non vuoi obbedirmi…non sei niente senza di me”. Questo conflitto è così metaforico e intenso da appartenere a tutti noi. 
Aveva ragione Paprika, il complesso di Edipo è forte e ognuno di noi prima o poi si ritrova a gestire la norma, il divieto e il limite imposto dal “padre”.  Il Presidente è anche il Super-io…quella censura dominante che interviene sulle pulsioni più profonde, imponendo la regola. Mi fa tenerezza Osanai. Siamo noi…in conflitto tra le nostre istanze più pulsionali dirette al piacere e quelle di controllo su di esse.
Ma ecco che in questo duello, dove ci stava scappando il morto, anzi la morta, arriva lui…il detective. Konakawa ha appena risolto il caso. Il suo. Eh sì perché era attanagliato dal senso di colpa legato al suo vecchio amico. Ricordi talmente dolorosi da essere stati rimossi dalla coscienza.
Ma ora è maturato, ha fatto il suo “passaggio” ed è pronto a “vedere”. E’ lui che trae in salvo Chiba. Serviva che lui vivesse questa pienezza. C’era bisogno che passeggiasse nel suo inconscio esplicitato in un bar che ricorda l’Owerlook Hotel di King.
Nel frattempo… mentre sembra tutto risolto, il sogno collettivo prende sempre più corpo e assistiamo alla parata di immagini oniriche che, passeggiano per la città. Chiba si trova a tu per tu con Paprika e le dice “non fare il passo più lungo della gamba Paprika… tu sei una parte di me” come per ammonire il suo alter ego impulsivo, il quale ormai ha piena vita ed è completamente sganciato dalla dottoressa tanto che, risponde “hai mai pensato che potresti essere tu una parte di me…tu vuoi sempre controllare te stessa e gli altri”? Questo dialogo è Fight Club. Questa conversazione è troppo “tyleriana” per non esaltarmi. 
Qui la dottoressa “scopre i sentimenti” che prova per Tokita, per il nostro nerd. Ma sta sperimentando l’amore in generale. E’ preoccupata e lo vuole salvare perché lo vede incastrato in un sogno... come tante persone del resto. 
Ecco che la dottoressa algida si è sbloccata. Non ha più bisogno di Paprika, la affronta verbalmente e se ne allontana. Ora è lei contro il male. Lei nella sua libera consapevolezza dell’amore. Il Presidente è diventato il dominatore dei cieli e della terra e mentre infligge distruzione arriva lei. La dottoressa…E’ rinata. Si presenta con le sembianze di una bambina che mentre “aspira” il male, cresce. Cresce. Cresce.
E allora sotto le note della stupenda “Parade”, la dottoressa bambina, più si nutre dei sogni del Presidente e più cresce. “Perché non obbedisci?” le chiede il dominatore del mondo mentre lei lo assorbe dentro di sé. Lei intanto cresce. Cresce.  Una volta divorati tutti gli incubi assieme al Presidente stesso, lei torna donna e il cielo si rasserena. La parata non c’è più, le immagini oniriche sono sparite. E’ la realtà questa. Una realtà fatta di amore…quello tra la dottoressa e il nerd.
La mia teoria sul Presidente è che fragile e debole e vuole appropriarsi dei sogni degli altri per percepire quella “umanità” con cui non è più contatto da tempo. Si sente incastrato e solo… nella sua “disabilità” fisica e mentale. Proprio lui, come Platone, pensava che il corpo fosse “la prigione dell'anima”.
Questo è un film sui conflitti interni. Sulle maschere.  Sul dualismo. Il bene e il male, il sogno e la realtà. Conscio e inconscio, amore e odio, vita e morte, mente e corpo.
Eibesfeldt, seguace di K. Lorenz sosteneva che uno degli scopi del cannibalismo era la “purificazione”. Eh già... anche qui si parla di rituali. Come per Fight Club, anche in questa sede, R. Girard potrebbe illuminarci sui riti di passaggio e di crescita. S. Freud per descrivere la suzione del latte materno nel bimbo, fa riferimento al termine “cannibalismo”. Come per la dottoressa bambina che più si nutre e più cresce, forte.
La magnifica idea del sogno collettivo mi ricorda l’“inconscio collettivo” di C.G. Jung. Come un archeologo, lo psicologo cerca di studiare un “tempo” che, per Jung coinvolge l’umanità tutta. Questo film è denso di simboli archetipici e analitici. Qui c’è tutto quello che fa felice uno psico.
Jung dice che “Tra i molti problemi della psicologia medica c’è un bambino difficile: il sogno. Sarebbe tanto interessante quanto arduo discutere il sogno esclusivamente sotto i suoi aspetti medici, cioè in rapporto a diagnosi e prognosi di stati morbosi. Il sogno ha a che fare con la salute e la malattia e poiché grazie alla sua origine inconscia, attinge dal tesoro di percezioni subliminali, può produrre occasionalmente cose di estremo interesse.” (Jung, Opere, vol. VIII, L’essenza dei sogni)
Per lui, il sogno è una autorappresentazione spontanea della situazione attuale dell’inconscio espressa in forma simbolica (Jung, Opere, vol. VIII, Considerazioni generali sulla psicologia del sogno)
Come in questa pellicola. Se ci fermiamo ad osservare i dettagli sugli elementi che componevano la parata, potremmo rimanere colpiti dalla varietà di simboli. Gli archetipi qui sono molteplici. Quello che mi appare più evidente è l’“ombra”, il nostro lato oscuro.
Questo film parla di evoluzione verso una consapevolezza che, si raggiunge attraverso la “catarsi”. Tutto è stato fortemente catartico. Tutto si è evoluto fino all’ apice della verità. Quale verità?
Quella che riguarda il genere umano. L’essere umano è intriso fino al midollo di paure e mostri. Siamo in perenne guerra con noi stessi e con le nostre resistenze. Ma quando guardiamo in faccia a questi mostri, realizziamo che ne vale la pena. Ne vale la pena… perché ci svincoliamo dalle nostre maschere e superiamo le nostre dinamiche terrorifiche... cresciamo… e cosa più importante… amiamo.