martedì 5 maggio 2020





Sulla rivista "Quaderni di Studi" è stato pubblicato un mio articolo scritto insieme alla mia amica  e collega Michela Pensavalli e a Tonino Cantelmi. Parliamo di formazione permanente in un cammino vocazionale dove, si possono percepire sintomi di malessere ma, la figura dello psicoterapeuta vocazionale assume un ruolo cruciale nel sostegno. 

venerdì 1 maggio 2020

                                                          LA FAVOLA PREFERITA
                                         (Psicoterapia fra arte e scienza - V. Guidano)

Uno degli elementi che mi affascina di Guidano è che, tra le varie indicazioni su come lavorare in terapia sulla storia di sviluppo del paziente, c'è quella di aiutarci con "la favola preferita".
Chi mi conosce sa che ho un debole per le favole e tutto quello che appartiene al fantastico... nonchè subisco il fascino di autori come B. Bettelheim che ha lavorato proprio con le fiabe.
Guidano sostiene che la favola preferita di quando eravamo piccoli,  ha un significato specifico per noi. E' un senso speciale che appartiene al nostro modo di leggere la realtà anche nel presente. La favola preferita è quella che... quando siamo bimbi chiediamo che venga letta e riletta ossessivamente perchè è "l'esigenza di regolarità e ripetitività che ama il bambino". La favola preferita "è molto più che un desiderio...è effettivamente la prima concezione filosofica del mondo che ha il bimbo". La favola preferita è "il primo ordine autoreferenziale analogico che dà a loro un senso di stabilità dell'ambiente circostante, del mondo come se lo possono immaginare e, di loro nel mondo".
Quando si lavora con un paziente adulto e si chiedono informazioni sulla favola preferita è proprio come sostiene Guidano. Queste informazioni ci aprono un varco nel passato del paziente e di come avvertiva il mondo attorno a lui.
Il filo tra passato e presente è evidente in questi momenti e la cosa intrigante  è che anche noi terapeuti siamo stati bambini. Il mondo dei bimbi è una cosa strabiliante e anche i terapeuti hanno avuto la loro favola preferita e se penso alla mia e, guardo all'immediatezza di questi significati rimango di stucco. Proprio come Guidano.

domenica 26 aprile 2020


“PAPRIKA”
(2006)
(Satoshi Kon)

Mi è stato consigliato questo film animato da G. un mio paziente.
Non ne sapevo nulla né del regista, né del fatto che C. Nolan ne avesse tratto ispirazione per il suo “Inception”. Ringrazio dunque il mio “preparato” paziente per questa perla affascinate, soprattutto dal punto di vista psicologico. Di psiche c’è tutto.
C’è una macchina, un aggeggio strano che permette ai tecnici terapeuti di immergersi nel profondo onirico delle persone per curare varie ferite psichiche, ad esempio lo stress post- traumatico. Detta così sembra una cosa pazzesca, una scoperta incredibilmente utile per chi soffre di malattie psichiche. Questa macchina, la DC Mini è ancora in fase di sperimentazione e una certa signorina di nome Paprika decide di usarla anche fuori dal piano terapeutico. Così veniamo a conoscere Konakawa, un detective provato dal bisogno di risolvere un caso di omicidio. Il ritmo incalzante ci fa decollare vorticosamente verso un pericolo imminente perché alcuni prototipi della DC Mini sono stati rubati per scopi piuttosto loschi. Tracollo totale. Il mondo si trova di fronte al problema che sono tutti immersi in un sogno collettivo, talmente vivido e intenso da aver compromesso la psiche di tanti. E’ complesso discernere la realtà dal sogno. E lo spettatore si ritrova in un caos di ardua interpretazione. Io stessa ho dovuto rivedere alcune scene diverse volte per coglierne le sfumature. Fatto sta che tutti i sogni si sono fusi in una gigantesca illusione. Si può solo immaginare la portata di una cosa del genere.
Una piccola nota sulla colonna sonora. “Parade” meravigliosa.
Ma entriamo nel vivo. I personaggi sono particolari e ambivalenti.
Paprika, una ragazza, anzi “la” ragazza che tutti vorrebbero. Bella, coraggiosa, forte, tenace e ribelle. La sua ammaliante personalità ha intrigato ogni personaggio che ha incontrato. Ma lei è solo Caronte. Accompagna tutti ma non appartiene a nessuno. Lei è la guida. O meglio lo era. Sostiene che “i sogni e internet sono simili, sono luoghi in cui si esprimono desideri repressi”. E a quanto percepisco io può anche essere vero.  Ma nei sogni non ci sono solo desideri ma anche mostri, paure e sensi di colpa. Lei è il filo conduttore.
La Dottoressa Chiba psicoterapeuta bloccata in una dimensione emotiva fredda e distaccata. Lei è intelligente, decisa ma immobile nel suo stato “difeso”. Appare priva di emozioni, alessitimica.
Poi c’è il nerd, il genio Tokita. Il nerd è quasi sempre il mio personaggio preferito. Lui incastrato in un corpo adulto che attraverso un disturbo alimentare tenta di colmare un vuoto affettivo che non gli ha permesso di evolvere anche nella sfera emotiva. E’ lui che ha costruito la DC Mini.
Konakawa, il detective fortemente traumatizzato, vive sentendosi braccato, ingannato. E’ in conflitto con se stesso. Cerca di elaborare un trauma con l’aiuto di Paprika.
Il direttore è un aiuto a Chiba un anziano nanetto simpatico e attivo che attraversa diversi ostacoli ma che cerca di fornire sostegno alla dottoressa.
Il Presidente che ergendosi a “custode dei sogni” con la scusa di proteggere le persone dalla scienza (che a suo avviso può creare danni), sceglie di lasciarsi catturare dal male, mascherandosi di buone intenzioni “in questo mondo crudele, il sogno è l’unica testimonianza di umanità che ancora ci resta”.
Osanai è un brillante ricercatore e amico della dottoressa. Tuttavia emerge subito la natura ambivalente e invidiosa. Nel tempo si allea con il Presidente.
Nel pieno della pellicola si determina con chiarezza il ruolo del Presidente.
Intanto ci rendiamo conto che quello che abbiamo percepito è vero. Paprika è la dottoressa. Mentre è inseguita dai tentacoli del presidente ormai mostro, il brillante ricercatore ha manifestato la sua vera identità, galoppino del presidente “Edipo è il look che ti si addice maggiormente” gli dice Paprika mentre sfugge alla cattura. Il Presidente ci regala il motivo della sua scelta “nei sogni non esistono confini, sarò libero anche io” esprime mentre la insegue. Ma niente, Paprika viene catturata da Osanai. Qui appare il dialogo più interessante del film. Si fondono conscio e inconscio, bene e male, paura, rabbia, amore. Si qui c’è anche un amore…un amore contaminato e inquinato dalla sete di potere e di controllo. L’amore di Osanai per Papkrika. Anzi, si dichiara così “Io ti amo per come sei veramente” mentre la “spoglia” della sua maschera più funzionale. La vede li, nuda. La dottoressa … senza la sua “protezione” indipendente e coraggiosa. In quell’istante, il Presidente si impossessa del corpo di Osanai e i suoi tentacoli avvolgono gli arti dell’uomo e della dottoressa. Lei sta per essere strangolata mentre in atto c’è un complesso conflitto fra il Presidente e Osanai. “Perché non vuoi obbedirmi…non sei niente senza di me”. Questo conflitto è così metaforico e intenso da appartenere a tutti noi. 
Aveva ragione Paprika, il complesso di Edipo è forte e ognuno di noi prima o poi si ritrova a gestire la norma, il divieto e il limite imposto dal “padre”.  Il Presidente è anche il Super-io…quella censura dominante che interviene sulle pulsioni più profonde, imponendo la regola. Mi fa tenerezza Osanai. Siamo noi…in conflitto tra le nostre istanze più pulsionali dirette al piacere e quelle di controllo su di esse.
Ma ecco che in questo duello, dove ci stava scappando il morto, anzi la morta, arriva lui…il detective. Konakawa ha appena risolto il caso. Il suo. Eh sì perché era attanagliato dal senso di colpa legato al suo vecchio amico. Ricordi talmente dolorosi da essere stati rimossi dalla coscienza.
Ma ora è maturato, ha fatto il suo “passaggio” ed è pronto a “vedere”. E’ lui che trae in salvo Chiba. Serviva che lui vivesse questa pienezza. C’era bisogno che passeggiasse nel suo inconscio esplicitato in un bar che ricorda l’Owerlook Hotel di King.
Nel frattempo… mentre sembra tutto risolto, il sogno collettivo prende sempre più corpo e assistiamo alla parata di immagini oniriche che, passeggiano per la città. Chiba si trova a tu per tu con Paprika e le dice “non fare il passo più lungo della gamba Paprika… tu sei una parte di me” come per ammonire il suo alter ego impulsivo, il quale ormai ha piena vita ed è completamente sganciato dalla dottoressa tanto che, risponde “hai mai pensato che potresti essere tu una parte di me…tu vuoi sempre controllare te stessa e gli altri”? Questo dialogo è Fight Club. Questa conversazione è troppo “tyleriana” per non esaltarmi. 
Qui la dottoressa “scopre i sentimenti” che prova per Tokita, per il nostro nerd. Ma sta sperimentando l’amore in generale. E’ preoccupata e lo vuole salvare perché lo vede incastrato in un sogno... come tante persone del resto. 
Ecco che la dottoressa algida si è sbloccata. Non ha più bisogno di Paprika, la affronta verbalmente e se ne allontana. Ora è lei contro il male. Lei nella sua libera consapevolezza dell’amore. Il Presidente è diventato il dominatore dei cieli e della terra e mentre infligge distruzione arriva lei. La dottoressa…E’ rinata. Si presenta con le sembianze di una bambina che mentre “aspira” il male, cresce. Cresce. Cresce.
E allora sotto le note della stupenda “Parade”, la dottoressa bambina, più si nutre dei sogni del Presidente e più cresce. “Perché non obbedisci?” le chiede il dominatore del mondo mentre lei lo assorbe dentro di sé. Lei intanto cresce. Cresce.  Una volta divorati tutti gli incubi assieme al Presidente stesso, lei torna donna e il cielo si rasserena. La parata non c’è più, le immagini oniriche sono sparite. E’ la realtà questa. Una realtà fatta di amore…quello tra la dottoressa e il nerd.
La mia teoria sul Presidente è che fragile e debole e vuole appropriarsi dei sogni degli altri per percepire quella “umanità” con cui non è più contatto da tempo. Si sente incastrato e solo… nella sua “disabilità” fisica e mentale. Proprio lui, come Platone, pensava che il corpo fosse “la prigione dell'anima”.
Questo è un film sui conflitti interni. Sulle maschere.  Sul dualismo. Il bene e il male, il sogno e la realtà. Conscio e inconscio, amore e odio, vita e morte, mente e corpo.
Eibesfeldt, seguace di K. Lorenz sosteneva che uno degli scopi del cannibalismo era la “purificazione”. Eh già... anche qui si parla di rituali. Come per Fight Club, anche in questa sede, R. Girard potrebbe illuminarci sui riti di passaggio e di crescita. S. Freud per descrivere la suzione del latte materno nel bimbo, fa riferimento al termine “cannibalismo”. Come per la dottoressa bambina che più si nutre e più cresce, forte.
La magnifica idea del sogno collettivo mi ricorda l’“inconscio collettivo” di C.G. Jung. Come un archeologo, lo psicologo cerca di studiare un “tempo” che, per Jung coinvolge l’umanità tutta. Questo film è denso di simboli archetipici e analitici. Qui c’è tutto quello che fa felice uno psico.
Jung dice che “Tra i molti problemi della psicologia medica c’è un bambino difficile: il sogno. Sarebbe tanto interessante quanto arduo discutere il sogno esclusivamente sotto i suoi aspetti medici, cioè in rapporto a diagnosi e prognosi di stati morbosi. Il sogno ha a che fare con la salute e la malattia e poiché grazie alla sua origine inconscia, attinge dal tesoro di percezioni subliminali, può produrre occasionalmente cose di estremo interesse.” (Jung, Opere, vol. VIII, L’essenza dei sogni)
Per lui, il sogno è una autorappresentazione spontanea della situazione attuale dell’inconscio espressa in forma simbolica (Jung, Opere, vol. VIII, Considerazioni generali sulla psicologia del sogno)
Come in questa pellicola. Se ci fermiamo ad osservare i dettagli sugli elementi che componevano la parata, potremmo rimanere colpiti dalla varietà di simboli. Gli archetipi qui sono molteplici. Quello che mi appare più evidente è l’“ombra”, il nostro lato oscuro.
Questo film parla di evoluzione verso una consapevolezza che, si raggiunge attraverso la “catarsi”. Tutto è stato fortemente catartico. Tutto si è evoluto fino all’ apice della verità. Quale verità?
Quella che riguarda il genere umano. L’essere umano è intriso fino al midollo di paure e mostri. Siamo in perenne guerra con noi stessi e con le nostre resistenze. Ma quando guardiamo in faccia a questi mostri, realizziamo che ne vale la pena. Ne vale la pena… perché ci svincoliamo dalle nostre maschere e superiamo le nostre dinamiche terrorifiche... cresciamo… e cosa più importante… amiamo.

mercoledì 22 gennaio 2020








Fight Club


D.Fincher


Mentre leggete questa lunga recensione vi consiglio di mettere in sottofondo la colonna sonora di questa superlativa pellicola perché, anche la musica ne scandisce i passaggi e le evoluzioni. Che poi…è quello che sto facendo io mentre la scrivo.
Premetto che è uno dei mei film preferiti e so che di recensioni su Fight Club ne sono presenti a iosa, anche dal punto di vista psico.
E’ il lato psico che mi intriga a tal punto da buttare giù “qualche” riga che mi nasce dal cuore. Devo ammetterlo questo per me non è solo un film…
La pellicola “inizia dalla fine”. Il protagonista con una canna di una pistola in bocca, ci illumina sulla imminente esplosione che avverrà a qualche isolato da loro. Il narratore, che non ha un nome ma che verrà identificato con Jack, e poi scopriremo perché, ci dice che questa roba delle esplosioni e della rivoluzione è già in atto e non si può fermare. Lui “tutto questo lo so perché lo sa Tyler”.
Ma chi è Tyler? Anzi no…il protagonista ci guida in questo caotico universo, ponendoci dinnanzi ad un sentiero e ci dice che “tutto questo ha a che fare con una ragazza di nome Marla Singer”. Sì…perché questo è un film d’amore. O meglio è un film su una storia d’amore. Amore, patologia, economia, violenza e attacco al sistema…possono essere i nuclei attorno ai quali si delinea una storia. La voce fuori campo è quella del narratore, che appunto chiamiamo Jack, forse ha un disturbo bipolare. Non dorme da sei mesi e mentre vive una apatica, fredda, desolazione irreale, gli subentrano altrettanti illusori pensieri di vita o di morte. Data la sua attuale natura distaccata, necessita di dettagli temporali che gli forniscono il metro del giorno “deve essere martedì, indossava la sua cravatta blu fiordaliso", riferendosi al capo.
Poi siamo nella sua casa, nel confortevole e rilassante nido Ikea. Antro particolare che si è costruito ad hoc, nel tentativo di mettere ordine nel suo inconscio che, invece, ha ben poco di confortevole. Mentre Jack cerca di pensare a quale salotto lo caratterizza meglio come persona, non possiamo non cogliere una crisi identitaria aperta. Si, Jack è in crisi e lo è su tanti piani. Non dorme e va dal medico che gli suggerisce di “darsi una calmata”, altro dettaglio che ci fa propendere per un disturbo dell’umore e lo invia alla chiesa metodista a vedere la vera sofferenza. E lui ci va. Da qui si apre un mondo, il suo. Inizia ad approcciare ad una serie di gruppi di sostegno, non come un osservatore passivo ma come protagonista. E li trova un amico, Bob. La prima persona che lo porta ad aprirsi… “Coraggio puoi piangere” e lui… Si sblocca, piange anche lui come gli altri. Ecco la prima vera, libera espressione di sé. Lì, nell’abbraccio soffice e morbido di un uomo che ha perso tutto e ha solo da guadagnare dall’apertura. Lui in ogni gruppo che frequenta ha un nome diverso, una identità diversa, un disagio diverso. Lui è tutti, Cornelius, Rupert, Trevor…e non è nessuno.
Cercava accoglienza, contenimento per dirla alla Bion…ma ormai è diventata una droga. Ne è dipendente. Si, perché l’amore e l’accoglienza, quando non li abbiamo mai percepiti possono diventare una dipendenza. Ora è il “piccolo centro caldo”. Eccolo Jack che durante una meditazione guidata, si ritrova nella sua caverna fatta di ghiaccio e solitudine e poi arriva il suo animale guida, un pinguino che con la voce di un bambino, ricalca l’eco del suo bimbo interiore che gli chiede di “scivolare” dentro di sé.
Eh…tutto procede bene fino a quando non arriva lei. I suoi tacchi rumorosi e disturbanti… lei, con i suoi occhiali scuri e la sigaretta ribelle. Lei frequenta i suoi stessi gruppi. “Marla…la sua bugia rifletteva la mia” e quindi non riusciva più a piangere. Il nostro narratore tenta e ritenta di viversi i gruppi come al solito ma durante una meditazione, il suo inconscio palesa qualche cambiamento. Il suo animale guida ora è Marla. E’ lei nella caverna che gli chiede di scivolare… “Marla, il taglietto sul palato che si rimarginerebbe se la smettessi di stuzzicarlo con la lingua, ma non puoi”. La rabbia di Jack monta e lui decide di affrontarla “ti ho scoperto”, le dice dopo averla brutalmente strattonata. Sì perché si nota una stretta virile, decisa, determinata, un movimento particolare mai visto in lui fino a quel momento. In quell’istante di confronto, c’è una presa di posizione di entrambi ma c’è un momento di incontro, di scambio dove l’una termina la frase iniziata dall’altro. E’ un breve istante ma intenso e forse, il primo vero, intimo, contatto tra le due anime. Mentre tentano di trovare un compromesso dividendosi i giorni della settimana, possiamo notare lo stile di vita di Marla. Una vita improntata sul qui e ora, sulla vendita di vestiti non suoi, sul rischio e la ricerca della morte, quasi in un atteggiamento provocatorio nei confronti della vita stessa. Marla ha un nucleo tanto patologico quanto affascinante. Vive sull’onda dell’impulso e sulla libera espressione di sé e dei suoi vissuti emotivi. Marla è tanta roba. Possiamo immaginare nella sua struttura borderline, un’anima ferita, una bambina sola, trascurata e probabilmente maltrattata…un’anima adulta che da una parte non si aspetta più nulla e dall’altra istiga questo nulla, alla ricerca di eros, di vita.
Torniamo al nostro narratore. Egli viaggia per lavoro in lungo e in largo, perdendo qualche istante e guadagnando pensieri e vissuti quasi deliranti ma talmente attraenti da sembrarci congrui. In uno di questi viaggi, avviene dunque l’incontro con un uomo…anzi no…non è un uomo, è il suo alter ego. Da questo momento in poi ha inizio il suo pieno delirio. Tyler Durden è tutto quello che a lui manca. E’ seducente, sicuro, polemico, cinico, scaltro, ironico ma la cosa più importante, è libero. E lo è in tutti i modi in cui non lo è lui che, è incastrato in una vita infelice e piatta e lui ne è l’immobile spettatore. In questa bizzarra conversazione tra i due lati della sua personalità, Tyler ci declina tutti i modi casalinghi per creare esplosivo. Nella faccia di Jack qualcosa non torna…per un attimo qualcosa lo perplime ma ormai il nostro protagonista è sedotto da Tyler.
Quando Jack torna a casa e la trova in fiamme per via di una “accidentale” esplosione, avrebbe l’istinto di chiamare Marla per chiederle aiuto. Questo ci da la misura di quanto lui fosse già coinvolto. Ma non regge e riaggancia. E’ bloccato dalla paura di inoltrarsi in una relazione che nel suo inconscio è già profonda. Dunque tra il desiderio di viversi una nuova relazione e la paura, vince quest’ultima. Allora chi chiamare in soccorso se non la sua parte più dominante, quella che gestisce, che controlla, quella che non teme nulla, quella libera. Quando lui e Tyler si incontrano nel bar, ci immergiamo nel dialogo interno di due parti. Una che si sentiva completa e realizzata nei beni materiali che, gli fornivano l’illusione di una stabile identità e l’altra parte che, si ribella a tutto questo e che confina i suoi averi in un contenitore sterile e privo di sostanza. Tyler qui si erge a maestro, guru “Non essere mai completo e smettila di essere perfetto”. Cominciamo con il decalogo di Tyler Durden che, con la sua filosofia di vita, vuole destrutturarci e ricomporci in qualcosa di forte quanto indipendente e sciolto. Mentre il nostro protagonista cerca il modo migliore per chiedere a Tyler di essere ospitato a casa sua, osserviamo il nostro eroe con le sue modalità passive e timorose, infantilmente non riesce a chiedere di essere ospitato. La sua paura è evidente eppure viene sospinto in un vortice sempre più distaccato dalle sue proiezioni passate. Inizia la simpatica convivenza e il nostro protagonista approda ad una serie di scritti sugli organi del corpo umano. Organi che appartengono ad un uomo di nome Jack.  A mio avviso elemento cruciale perché legato alla psicosomatica del nostro eroe che da questo momento in poi, esprime le emozioni tramite gli organi corporei.
Qui avviene il primo passo che amo chiamare “rito di passaggio” di Tyler. Si perché lo sta instradando verso una direzione.
Come sostiene R. Girard (autore che amo molto), “I riti di passaggio sono legati all’acquisizione di una nuova condizione, all’iniziazione” e il canale spesso in questi rituali è quello violento e Girard aggiunge che “non basta subire la violenza, occorre anche esercitarla”. Ed ecco che infatti Tyler lo spinge ad una lotta dove non solo bisogna ricevere un pugno ma anche sferrarlo. Iniziano a lottare loro due e conversano sul “senso” di questo momento “quanto ti conosci se non ti sei mai battuto con nessuno?”. Ma come dice Girard “anche se la prova iniziatica è riservata a certi individui, è implicata l’intera comunità: non c’è rito che non faccia funzionare l’unanimità fondatrice”... approdiamo dunque all’inclusione di esterni. Uomini sbalorditi e nello stesso tempo incuriositi da quello che stava succedendo “posso partecipare?”.  Da questo momento in poi parte tra i due un’indicativa ricerca dei personaggi con cui potersi battere, con cui mettersi alla prova, con cui sperimentarsi. Non a caso, nell’inconscio c’è suo padre. Ad un certo punto è chiaro che il nostro narratore vorrebbe lottare con lui…anche qui è celata la chiave del suo edipico passaggio verso una individuazione e una ricercata identità…svincolo da un padre che ogni sei anni cambia città e “aumenta le filiali”.
“Non eravamo soli”…no perché la lotta contro nostro padre non è una battaglia unica ma è qualcosa che riguarda tutti. Il padre, il sistema di regole e di aspettative e di richieste. Un giorno tutti noi siamo chiamati a lottare contro di lui, contro il sistema. Il problema è il come si struttura questa battaglia.
“Era davanti agli occhi di tutti…Tyler e io lo avevamo solo reso visibile…Tyler e io gli avevamo solo dato un nome”. Ora siamo nello scantinato di un locale dove tutto ebbe inizio…ci sono uomini medi e uomini di successo “Benvenuti al Fight Club”…siamo i benvenuti in un clima di rituali, sperimentazioni, crescite e tutto questo non può escludere sudore e sangue, elementi che ci forniscono la violenza necessaria del rito di iniziazione “da nessuna altra parte ti sentivi vivo come lì”. Anche qui ci sono regole, come in ogni comunità che si rispetti. Come in ogni sistema di persone, anche qui ci sono regole.
Mentre i giorni si susseguono in attesa del fine settimana del Fight Club, assistiamo alla metamorfosi del narratore che, si identifica sempre più con il suo alter ego (adesso Jack fuma)…”cominciammo a vedere tutto in maniera diversa…tutti ci sentivamo salvi”…certo perché ora siamo in cammino. La nostra prima prova è superata e ora possiamo leggere tutto con una chiave diversa. “a volte Tyler parlava per me”…ormai Tyler parlava per lui sempre.
Ma ecco che torna lei…il taglietto sul palato. Una telefonata, un grido di aiuto di Marla che approccia un contatto sull’onda di un tentato suicidio.  Richiesta di aiuto alla quale la parte spaventata di lui non risponde, fugge, rimuovendosi. Peccato che a questa richiesta Tyler ha deciso di rispondere. Sì, perché la parte di lui, libera, esplorativa e provocatoria, vuole viversi questa relazione. Tyler non ha paura.
La mattina Marla è dentro casa di Jack,il quale ingenuamente, pensava di aver sognato di aver avuto rapporti intimi con lei. In realtà nel vederla li ne rimane turbato “cosa ci fai in casa mia?”…così lei se ne va. Interessante successivo dialogo tra le due parti, dove Tyler chiede a Jack di non rivelare dettagli importanti su di lui e nel frattempo chiede “non è che ti piace?” e il dotto biliare di Jack risponde per lui.
Continuano i rapporti intimi tra Tyler e Marla e continuano le dinamiche fra lui, Tyler e Marla, dove il vissuto di Jack è quello di un bambino triangolato, “ho di nuovo sei anni, porto bigliettini a genitori che non si parlano”…sempre più dettagli del suo passato, ci fanno rendere conto  di come un bimbo abbia potuto vivere la coppia genitoriale “i miei genitori hanno fatto la stessa sceneggiata per anni”.
Eccoci nel secondo rito di passaggio “facciamo il sapone”. Sì… perché qui assieme al sapone, si compie una esperienza. Mentre si fanno lezioni sulla dinamite, sulla storia e sulla evoluzione umana, il nostro protagonista viene invitato a “stare” nel presente, a “stare” con il dolore, senza scappare, “resta con il dolore non lo scacciare” e la mente di Jack fugge nelle meditazioni che aveva esperito. Appare anche Marla ma ora è diverso. Tyler gli chiede di stare… “senza dolore non avremo niente…questo è il tuo dolore…quello che senti è illuminazione prematura”. Jack sta iniziando a lasciarsi andare, si sta abbandonando alla parte di sé visionaria e consapevole del tutto, “ti devi arrendere…devi avere coscienza…è solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa”.
Ora l’identificazione con Tyler è quasi completa. Cosa assolutamente visibile anche nei mutati rapporti con il suo capo.
Arriva una seconda richiesta di aiuto da parte di Marla che, gli chiede di andare a controllare il suo stato di salute e mentre lui rimane perplesso dal fatto che lei non avesse chiamato Tyler, lei tenta un approccio fisico, dolce e poetico: un bacio. Questo romantico contatto lo mette talmente sulla difensiva, da rispondere con una frase glaciale quanto distante “abbiamo finito?”.
Man mano che tutto procede, il nostro protagonista si ritrova nello scantinato del locale a lottare con Bob, il suo amico. Tyler si promuove a messia e guru  mentre ci fa riflettere “la nostra guerra è spirituale e la nostra depressione è la nostra vita” e poi “alla settimana prossima” come in una psicoterapia, infatti ogni uomo in questa settimana ha un compito da svolgere. Si sta cominciando a delineare una strada che percorre il Fight Club. Siamo incuriositi…cosa c’è sotto? Allora non è tutto qui…
Ormai Jack e Tyler sono quasi indistinguibili mentre, il nostro protagonista si ritrova a minacciare il capo e mentre lo fa, pensa al suo primo combattimento con Tyler…un altro padre da detronizzare.
Ma da ora in poi tutto si delinea con una certa rapidità. Siamo nel progetto Mayhem. Ogni membro svolge dei compiti segreti e anche Tyler ne ha uno. Cambiare la vita di un uomo. Sì perché Raymond K. S. che lavora in un emporio stava studiando veterinaria e poi ha lasciato gli studi per lavorare. Ma ora non più. Dopo le minacce di Tyler “Raymond K. S. domani mangerà come noi non abbiamo mai mangiato…domani sarà il giorno più bello per lui”. Non possiamo non essere, anche solo per un momento, spiazzati e allo stesso tempo affascinati da questi agiti. Certo poi ci destiamo e comprendiamo che Raymond K.S. domani mangerà con più gusto e terminerà gli studi di veterinaria…ma perché lo farà? Perché è sotto minaccia. Allora è davvero la paura che ci muove? E questo ci fornisce un pizzico di illuminazione sul modo di pensare di Tyler. A questo punto potremmo facilmente pensare a dove ci stia portando tutto questo…e allora forse tanta ammirazione potrebbe essere sostituita da un certo grado di perplessità.
Ma aspettate, siamo di nuovo in casa Durden e c’è Marla che ormai si è abituata ad essere maltratta e con un timido “mi levo di mezzo fra un istante”, stuzzica il nostro protagonista che invece risponde con un “resta”. Si apre qui un dialogo davvero interessante, dove il nostro eroe cerca di salvare la principessa da una relazione dannosa “Cosa ci ricavi da tutto questo? La cosa ti rende felice?” e lei “qualche volta si”…e mentre lui tenta di spiegare goffamente il suo vissuto parlando di Tyler, il suo alter ego scalpita dalla cantina. L’immagine di un Tyler in cantina mi fa pensare ad un Jack che ha un barlume di coscienza e che tenta di riparare qualcosa, arginando l’elemento destabilizzante (Tyler). Ma il barlume muore perché Tyler prende il sopravvento…e la conversazione si chiude lì…con una porta che sbatte e una dolce Marla che si arrende.
Torniamo al progetto Mayhem: prima recluta e... “prima o poi diventavamo tutti quello che voleva Tyler”, seconda recluta e così via. Dopo la prima scimmia spaziale “pronta a sacrificarsi per un bene più grande” l’esercito è quasi in piedi. Nel frattempo, alla notizia che l’incendio nella sua casa è stato doloso, piomba in Jack uno stupore che quasi ci fa riflettere.
Mentre il progetto Mayhem procede assistiamo a tutti i vandalici atti di ripristino di un ordine meno strutturato e definito, guidato da membri freddi, asettici, quasi ipnotizzati. E poi…non ci dimentichiamo che questa cosa fra lui e Tyler, è una cosa nuova per il nostro eroe, forse mai provata, motivo per cui gli sale una gelosia infinita verso un acerbo Jared Leto che, viene malmenato e quasi ucciso, deturpato. Il quasi pupillo di Tyler è quasi morto e lui…”volevo distruggere qualcosa di bello” risponde al suo bisogno di distruzione… “volevo respirare fumo”, di ribellione per la minaccia che percepiva nel loro rapporto….Ma tutto questo è l’ottima preparazione per il successivo rito di passaggio dove in una macchina senza pilota, Jack viene guidato alla esplorazione del suo inconscio. L’eroe si sente escluso, “tu e io”, contro un Tyler che risponde sottraendosi “ questa cosa non appartiene a noi…noi non siamo speciali” e, come se non bastasse, gli fornisce una ulteriore lezione di vita “ dimentica quello che sai della vita, dell’amicizia e di te e di me”…e mentre la rabbia del nostro eroe monta (unica emozione tramite la quale si esprime), il suo alter ego lo chiama ad un ulteriore passaggio, “ guardati…perché credi che abbia fatto esplodere casa tua…smettila di cercare di controllare tutto…lasciati andare”. Il nostro eroe, complice la paura (di nuovo come per Raymond K.S.), prova a lasciarsi andare. Una particolare canzone in sottofondo, ci fa assistere ad un violentissimo impatto con la vita, o la morte, mentre Tyler “abbiamo avuto una esperienza di quasi vita”.  Qui anche noi facciamo silenzio. Noi con i nostri pensieri e le nostre certezze…siamo comunque scettici. Quasi imbarazzati, dubbiosi, completamente assorbiti da un tutto che sta iniziando a prendere forma.
Ma proprio adesso…sì proprio ora Tyler se ne va.
Tyler non c’era più.
Il nostro eroe si aggira nel pianeta Tyler, dove le scimmie spaziali producono sapone e organizzano i loro colpi. Come si sentirà lui? “sono solo…mio padre mi ha abbandonato…Tyler mi ha abbandonato…sono il cuore spezzato di Jack”.
Marla torna e gli chiede di poter entrare in casa ma lui non è pronto. E’ ancora in lutto per aver perso il padre, di nuovo. Marla se ne va.
Da qui in poi il ritmo del film cambia. Tutto scorre a velocità supersonica e arrivano i primi feriti, Bob. Bob è morto. Proprio lui, il suo primo e unico amico. Ecco un altro abbandono. Qui arriva la sua prima lezione al gruppo “quando un membro muore ha un nome…il suo nome Robert Paulsen”…e questa scena è talmente comica da sembrarmi surreale. “Devo trovare Tyler” ed è qui che l’eroe parte alla ricerca del suo alter ego. Metaforicamente gira il mondo, non sapendo ancora che Tyler è dentro, non fuori. Accede ad ogni bar, ogni vicolo e luogo che abbia ospitato il Fight Club. Come nel passato dove perdeva un’ora e guadagnava un’ora…è sempre in ritardo e pare quasi che manchi Tyler per un soffio, tutte le volte. Eh sì…anche Tyler “ha aumentato le filiali” e davanti ad un “bentornato signore”, Jack ha un sussulto e finalmente ha il primo insight “secondo lei io chi sono?”. La mia parte preferita parte da qui. La sua frammentata identità cerca una coerenza…lui avverte la scissione nel suo profondo. Stiamo entrando nella sua oscura intimità. Finalmente!
Lui ha dubbi profondi, si sente solo, confuso e spaventato. Cosa fa? Chiama Marla .E alla domanda …lei risponde “Tyler Durden… Tyler Durden…schizzato…”. Schizzato…scisso, diviso. Che meraviglia.
E torna Tyler, arrabbiato, determinato ad eliminare il nostro eroe che sancisce il tutto “Siamo la stessa persona”. Lo stupore mentre Tyler gli spiega come sia avvenuto tutto ciò “cercavi un modo per cambiare la tua vita…non potevi farlo da solo…sono quello che vorresti tu, libero come non lo sei tu” e come se non bastasse, “pian piano ti stai lasciando diventare Tyler Durden”. Baaaam!
Tyler qui manifesta il desiderio di eliminare Marla perché “sa troppe cose” e Jack inizia una serie di movimenti per salvare tutto e tutti. Vuole salvare lei “la vera natura del nostro rapporto non mi era chiara…tu mi piaci moltissimo” e mentre pronuncia queste parole, la incita a lasciare la città. Bene. Ora che Marla è salva, può dedicarsi a salvare il resto del mondo. Peccato che la sua intelligenza lo ha preceduto. Aveva previsto tutto e preparato i membri ad un qualsiasi cambiamento di rotta. Ma eccoci ad uno scontro importante…siamo nel garage di un palazzo…c’è un furgone con dell’esplosivo e il nostro eroe sta sabotando tutto. Arriva Tyler e lottano. Ma stavolta non è come la prima volta. Qui c’è vita. Qui qualcuno si vuole riappropriare della propria identità. Anzi…vuole crescere. Non c’è più dipendenza…

Lo svincolo è in atto…

“tre minuti ci siamo…” Eccoci dove tutto ebbe inizio…”Pensa a tutto quello che abbiamo creato”. A breve ci sarà una esplosione alla quale i nostri eroi potranno assistere dall’ultimo piano di un bel grattacielo. Qui c’è un fantastico dialogo fra i due dove il nostro protagonista. tenta una ultima docile supplica al dio Tyler che, vuole prendere di nuovo il sopravvento…ma non ce la fa. Stavolta no. La consapevolezza sale in Jack fino a quando “Tu non sei reale” (insight) e “la pistola non è nemmeno nella tua mano…è nella mia”. Si capovolge drasticamente la situazione e qui ci stiamo gasando perché sentiamo il phatos arrivare al culmine. Il nostro eroe si punta la pistola alla gola… “alla nostra gola”…”voglio che adesso mi ascolti attentamente…con gli occhi aperti”…Forse vediamo un pizzico di paura in Tyler. Nel nostro eroe vediamo solo quella virile, decisa determinazione e…Boom! E' veramente il nostro eroe...
C’è uno sparo…e Tyler “cosa è questo odore?”…E’ fumo. Lo stesso che… “Volevo respirare fumo” di quando Jared Leto veniva malmenato.
Arriva Marla trascinata dalle scimmie spaziali, “ti sei sparato da solo?” …”si ma sto benissimo”. Anche qui, tanto surreale quanto ammaliante …Iniziano le esplosioni, lei ha un sussulto e tra le parole del nostro eroe “andrà tutto bene”…i due si prendono per mano e si godono lo spettacolo. Tra l’incredulità e l’amore c’è una apertura verso Marla “mi hai conosciuto in un momento molto strano della mia vita” e sulle note di Where is my mind si chiude questa meravigliosa pellicola.
Avevo scritto molto altro…ma preferisco fermarmi. Questo poetico e patologico film è talmente denso di dettagli che è impossibile declinarli tutti. La storia d’amore tra queste due personalità così diverse eppure così magicamente incastrate, ha un ruolo cruciale in tutto. Se lui non fosse stato in questo momento strano della sua vita, non ci sarebbe stata nessuna Marla…o forse, è proprio perché è arrivata Marla che è successo tutto questo. Ecco… io credo di sì. L’ arrivo di questa ragazza ha destabilizzato talmente il sistema interno di questo uomo, da portarlo alla scissione…Chiaramente è la mia personale interpretazione.

La paura è una emozione complessa…seducente quanto paralizzante…come l’amore.




venerdì 17 gennaio 2020


Shot Caller - La fratellanza

Dal punto di vista cinematografico, a tanti non sarà sembrato un gran film. Per determinati aspetti a me è risultato particolare. Personalmente avrei visto volentieri un preciso approfondimento del mondo delle gang che appare relegato al misero culto nazi e al fascino per i tatoo, soprattutto, considerando, che il regista R. R. Waugh ha lavorato per due anni sotto copertura in un carcere della California proprio per "studiare" questa realtà. La personalità di Jacob è così ricca eppure così poco esplorata. La sua realtà è talmente sfaccettata da avermi catturata completamente. Come la coppia del resto. Lasciata sullo sfondo alle nostre personali interpretazioni.
Tuttavia il piano più attraente ai miei occhi è sempre quello psico. Perché un film può essere tecnicamente perfetto ma “morto” sul piano emotivo. Qui di perfezione c’è ben poco ma ci giunge quel “qualcosa” di ammaliante che deve tradursi in parole, associazioni, vissuti che non possono non sfiorarci.
Qui non si analizza la trasformazione di un uomo. Non si affronta tanto la metamorfosi psicofisica di chi, crede di avere la vita perfetta, in un essere, se così possiamo definirlo, infimo.
Qui c’è altro. C’è un uomo e questo termine racchiude tutto, troppo. Un uomo con la sua vita che non è tanto perfetta come vogliono farci credere. Jacob chi è? E’ un uomo, appunto, con un mondo emotivo ricco di sfumature e ombre che, emergono nel piccolo quotidiano di una partita a basket dove, percepisce la sua fragilità, la sua inutilità, alle quali risponde con l’arrendevolezza di un bimbo timoroso, spaventato. Da cosa? da quella giungla di palestrati, attraenti e sicuri uomini di successo, inebriati da loro stessi e dalle loro piccole, misere vittorie. Jacob è anche un marito e un padre che, torna a casa dal lavoro e trova suo figlio, solo, che pranza di fronte alla tv. Questo dettaglio non può sfuggirci mentre ci immaginiamo il futuro di questo ragazzo che cresce e continua a percepire solitudine. Ah si…Jacob è anche un marito che, incontra la moglie che si prepara ad una uscita con gli amici e che non coglie, perché non vuole, l’invito di Jacob ad avere un rapporto intimo, un incontro.
Ora siamo fuori con gli amici, si ride, si scherza, affiorano sogni e progetti di queste donne, arriva del vino e in un attimo si cancella tutto. Qualcuno muore, qualcuno non crede a ciò che sta succedendo. Fatto sta che Jacob è in galera. Ed è in prigione per aver ucciso l’unico amico che aveva. Quello che lo difendeva durante le partite mentre lui si sentiva un bambino spaventato in pasto ai bulli.
Jacob è “dentro”, o fuori, dipende dai punti di vista. E’ in galera e si ritrova a contatto con una realtà che non aveva nemmeno mai visto in cartolina. E poi, questo sistema penitenziario mi elicita il desiderio di ascoltare qualche parola di Beccaria. Ma questa è un’altra storia.
Quella di cui parliamo, invece, è una realtà fatta di gang, di cartelli, di valori, di rispetto, di potere, di sottomissioni ma soprattutto, di scelte. Perché Jacob deve scegliere e lo deve fare presto, prima di morire. Eh si…deve scegliere se vivere o morire.  E lui sceglie. Sceglie di sopravvivere. La sua anima per qualche istante sussulta, prova a ribellarsi a ciò che vede e che sente. Da una parte sua moglie gli chiede di continuare ad essere Jacob e dall’altra Jacob lentamente muore. Si, perché è arrivato Money. E una volta così, così sarà. Non si torna indietro. Da qui in poi assisteremo al combattimento interno di Jacob che torna proprio mentre Money sta per compiere il suo primo omicidio (volontario), come esecutore. I suoi vari altri riti di passaggio per entrare nella banda di chi sopravvive e di chi comanda, sono tutti costellati da un sempre più flebile Jacob che, vorrebbe tornare ma è silenziato da Money. Money è dentro la fratellanza ariana. E’ parte di essa e si muove con lei e “per” lei.
Money è fuori. Fuori dalla galera certo, ma dentro cosa si ritrova? Ci si ritrova? O sceglie? Da qui potremmo disquisire all’infinito, tirando fuori, morali ed etici concetti privi di sostanza perché non sappiamo neppure di cosa stiamo parlando. Money deve concludere un affare per la fratellanza. Ma non è questo il punto che mi interessa. Il punto è Money. Un uomo tormentato, che resta affiliato a un mondo deplorevole, che disprezza e che lo sta uccidendo. Un mondo torvo, come lui, buio, triste, solo...senza una famiglia, senza più un figlio che ha allontanato per proteggerlo. Eppure lui sembra avere una idea. Inutile analizzare le varie azioni di Money e soffermarci sulle varie altre violenze che, ai suoi occhi appaiono necessarie ad un obiettivo.
Money uccide, piange, protegge il suo piccolo aiutante cacciandolo via, (unica modalità che conosce per proteggere), lo fa prima che arrivino le forze speciali, che lui stesso ha coinvolto nello scambio. Money è tante cose e non è tante cose. Fa di tutto per tornare in galera. Fa il doppio gioco. Arriva nel posto più pericoloso che ci sia, lui torna solo per fare un ultimo violento gesto. Ripristinare un ordine. Un ordine capovolto. Ora è lui il capo. Complice anche un sistema di secondini corrotti che, ci fanno immergere in un complesso stadio evolutivo in cui l’uomo è qualcosa di assolutamente impuro. Ora lui comanda il carcere, i secondini, i contatti e pian piano promuove in lui, l’unico sistema possibile che, preveda una qualche emersione del flebile Jacob. Il puro poliziotto che segue il caso (al quale non torna la dinamica di Jacob), verrà aiutato a mettere ordine. Ecco che si inizia a dipanare una dinamica alla Lupin e Zenigata che immagino vedremo nel sequel.
Il tutto si chiude con un Money che legge un libro consigliato da uno dei leader della fratellanza “L’animale umano”. Libro di D. Morris di argomenti sociobiologici, poco hanno a che vedere con la vera psicologia. Si perchè in questo libro si parla di istinti e di come l’uomo dovrebbe accoglierli, vivendoli. La psicologia studia gli istinti ma nell’inconscio non c’è solo l’istinto. C’è anche l’eros e come direbbe Carotenuto “anche la creatività è un istinto” ma la pulsione è di vita, non di morte, non di distruzione. Prima di questa scena del libro, stavo quasi per credere alla rinascita di Jacob. Ma poi ho visto il libro…
A questo punto non mi sento di concludere esprimendo superficialmente un giudizio rispetto ad una scelta di questo uomo. In cuor mio devo dire che non credo che lui abbia davvero scelto di essere qualcosa di diverso da ciò che era (in potenziale represso). Forse ha “fatto” qualcosa di diverso. Quello che osservo è un uomo che si è dimenticato di se stesso per tutta la vita. Poi si è ritrovato in una centrifuga e si racconta di aver fatto una scelta di vita. In realtà ha fatto una scelta di morte. Qui non posso non pensare al protagonista di BrBa.
 Comunque Jacob è morto o meglio è stato ucciso da Money. Il perché e il come non sono facilmente spiegabili. Quello che so è che tutti noi… a volte siamo Jacob e a volte siamo Money. Il punto sta nel vederlo e nell’integrare le due parti di noi, scisse. Noi siamo entrambi.

Quello che sento è che adesso il bullo è lui. Lui non è più quel bimbo spaventato. Lui ora si sente un difensore. Il padre è stato perdonato dal figlio. Un ragazzo maturo, docile che è stato fatto fuori, cacciato, abbandonato dal padre per difenderlo (a suo dire). Ciò che questo uomo sta divenendo, sarà opinabile ai molti. Ma chi fa il clinico non può eludere tutti quegli aspetti inconsci e non, che ci portano a rivelare una o l’altra parte di noi. 

giovedì 5 settembre 2019

Riparte il ciclo di sostegno ed intervento alla Comunità Terapeutica Sisifo (Via del Gallo, 22 - Tuscania VT) per la cura delle dipendenze comportamentali. La comunità accoglie utenti con condotte di dipendenza da gioco d'azzardo, dal web e dalla tecnologia, da ipersessualità, da shopping compulsivo e da lavoro. 
 Opererò come Psicoterapeuta al fianco di un valido team di psicologi ed educatori guidati dal Prof. Cantelmi.
Questo ciclo si terrà dal 9 al 29 settembre 2019



giovedì 4 aprile 2019

Con piacere annuncio la pubblicazione del libro "La via della Bellezza. Un percorso di 
riscoperta" di Maurizio Sorbo  con il quale ho collaborato scrivendo i capitoli di interesse psicologico. 

Il lavoro di sinergia nella stesura dei capitoli è avvenuto assieme alla Dott.ssa Michela Pensavalli, con la prefazione di Tonino Cantelmi. Capponi Editore